Davide Chiaroni, professore ordinario di strategia e marketing al Politecnico di Milano e fondatore dell’Osservatorio sull’economia circolare dell’ateneo, ha pubblicato nel 2022 il suo libro “L’impresa circolare”.
L’obiettivo del saggio viene esplicato attraverso queste parole dell’autore: “Il rischio più grande che proprio ora si corre nell’economia circolare è che la sua popolarità ne annacqui il significato originario, che tutto ciò che è riconducibile in senso lato al tema della sostenibilità – il riciclo, la raccolta differenziata, la produzione di energia da rinnovabili – venga «magicamente» trasformato in economia circolare… e che in un mondo dove tutti sono circolari, nessuno lo sia più, o meglio nessuno (o solo pochi) lo siano davvero”.
Mai quanto oggi, infatti, è fondamentale evitare che un tema sempre più centrale per lo sviluppo dell’economia globale – e per la sua sostenibilità – venga banalizzato.
Il tema è molto complesso: interessa sia la dimensione macroeconomica sia quella micro, non riguarda solo la valorizzazione dei prodotti giunti al termine del loro ciclo ma anche il loro stesso design, per cui devono coesistere circolarità e innovazione.
Nel mezzo, tra ecosistema e prodotto, a livello cioè dell’impresa, si apre il gap che il libro di Chiaroni intende colmare, superando il divario tra una definizione troppo “stretta” di economia circolare e una troppo “ampia”, che rischia di far ricadere tutto sotto questo cappello.
Secondo i calcoli effettuati analizzando le potenzialità di applicazione dell’economia circolare al sistema italiano, si stima un risparmio potenziale di 100 miliardi di euro l’anno.
Attualmente, il risparmio si ferma a 14 miliardi a causa di due fattori:
- L’assenza di diffusione dell’economia circolare in diversi ambiti
- Il fatto che, ad oggi, chi applica le regole dell’economia circolare non lo faccia al massimo delle potenzialità
Il report realizzato dal Politecnico di Milano nel 2022, con lo scopo di creare la cultura della Circular Economy nelle imprese italiane, è stato costruito sulla base di due principi chiave:
- Il dialogo diretto con le imprese: sono state intervistate 200 aziende all’anno, con lo scopo di avvicinarsi il più possibile allo stato attuale delle cose
- La definizione delle pratiche in atto
La valutazione dell’effettiva applicazione dei principi di economia circolare nelle imprese si è basata in principio sull’identificazione di 10 pratiche (dal riciclo al riuso, fino alla rilavorazione); dopodiché, sono state rilevate attraverso uno strumento specifico le azioni che le aziende hanno effettivamente attuato per rendere concreto il concetto di economia circolare.
Sono stati incrociati i dati sulle pratiche adottate con informazioni relative agli investimenti fatti, il che ha portato a comprendere l’ammontare di denaro e risorse spesi a servizio della transizione verso un’economia circolare.
Il terzo aspetto consiste nel chiedere alle aziende la loro opinione in merito a barriere e opportunità riscontrate nell’avvicinarsi all’economia circolare. Questi dati hanno una doppia finalità: comprendere la distribuzione delle pratiche di adozione e quantificare l’ammontare di risorse messe a disposizione.
Infine, sono state quantificate le barriere normative che ostacolano l’adozione dell’economia circolare. Viene utilizzata una scala da 1 a 5 che permette di quantificare ciò che è stato fatto finora rispetto alle potenzialità.
I settori in cui l’applicazione delle regole di economia circolare hanno portato i maggiori risultati in termini economici sono principalmente due:
- Il settore food and beverage, con un risparmio complessivo a fine 2021 di 5,4 miliardi di euro
- Il settore di impiantistica industriale, con un risparmio complessivo a fine 2021 di 1,2 miliardi di euro
Due ambiti molto eterogenei, distanti sia per dinamica della domanda che per attività.
Il primo settore si concentra maggiormente sul packaging e la gestione della vita del prodotto, mentre il secondo più sulla rilavorazione e il riutilizzo.
Dal campione analizzato, è risultato che il 57% delle aziende intervistate ha adottato almeno una pratica di economia circolare (rispetto al 44% dell’anno precedente).
I soggetti scettici, che affermano di non aver adottato pratiche di economia circolare e di non avere intenzione di farlo in futuro, sono arrivati ad una percentuale pari al 30% (contro il 40% dello scorso anno).
L’altra analisi effettuata consiste nel comprendere, su una scala da 1 a 5, quanto le aziende, che hanno effettivamente attuato pratiche di economia circolare, si sentano circolari. La media è di poco superiore al 2, il che significa che le imprese stesse ammettano di essere ancora lontane dallo sfruttare appieno le potenzialità dell’economia circolare.
Il numero, però, è in crescita: la sensibilità al tema sta aumentando gradualmente.
Il settore tessile è quello con la percentuale più alta (82%) di aziende che hanno implementato almeno una pratica manageriale di economia circolare, seguito dal food&beverage (80%), mobili e arredamento (62%) e impiantistica industriale (59%), mentre l’elettronica di consumo si ferma poco sopra il 15%.
Il 61% delle aziende che hanno investito nell’economia circolare ha stanziato fino 50.000 euro (per alcune una grossa cifra, se raffrontata alla loro dimensione), un quarto si è spinto tra i 50.000 e i 150.000 euro, il 4% ha superato i 500.000 euro. Tuttavia, appena il 10% ha beneficiato di incentivi o agevolazioni fiscali, a testimonianza di un’attenzione ancora scarsa sul fronte normativo e fiscale. Il tempo di ritorno degli investimenti è inferiore ai due anni in oltre il 50% dei casi, in circa il 30% addirittura inferiore all’anno (in genere si tratta di pratiche di Design out Waste e Recycle), ma per un altro 30% occorrono invece più di 3 anni.
Il contributo maggiore al risparmio è stato dato complessivamente dalle pratiche di Recycle, con circa 3,5 miliardi di euro annui. Seguono quella di Remanufacturing/Reuse e Take Back Systems (rispettivamente 2,3 e 2,2 miliardi di euro).
Le imprese sono ancora molto focalizzate sul riciclo dei prodotti e dei componenti, oltre che alle fasi di progettazione. Questi aspetti, sebbene fondamentali, non riescono a coprire al 100% le potenzialità di un approccio circolare.
1) Riduzione delle emissioni: la Circular Economy riduce le risorse necessarie e allunga la vita dei prodotti. Questo porta ad un potenziale di riduzione complessivo di 1,9 milioni di tonnellate di CO2
2) Riduzione del consumo di risorse: applicando in maniera rigorosa l’economia circolare al settore delle costruzioni, l’utilizzo di risorse sarebbe ridotto del 15%
Vogliamo analizzare, per concludere, le azioni attuate dal mondo della finanza verso l’economia circolare.
Negli ultimi due o tre anni, la finanza ha spinto verso l’economia circolare attraverso sistemi dedicati di investimento, che in Italia superno i 15 miliardi di euro: questa cifra ha spinto i mercati a premiare gli investimenti ESG.
Nei criteri utilizzati per la valutazione ESG vi sono infatti voci legate all’economia circolare che favoriscono il raggiungimento degli obiettivi in tutti e tre i pilasti della sostenibilità. All’intero del Rapporto i ricercatori riportano, a titolo puramente esemplificativo, alcuni di questi prodotti:
- oltre 30 miliardi di euro disponibili tra fondi di private equity, venture capital e private debt (circa 1 miliardo di euro)
- fondi di public equity (oltre 2 miliardi)
- strumenti di debito (circa 14 miliardi)
- finanziamenti di progetti con fondi della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) (12,7 miliardi)